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Il dopo

Alluvione del 15 settembre. Nessuna musica straziante, nessuna domanda retorica. Neppure una lacrima. Solo immagini raccolte con pudore, perché a volte il giornalismo ha bisogno solo di quello.

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Tribe: storie di un mondo che cambia

Questa sera parleremo di molte cose. Sono sempre più convinto che è sui nostri stili di vita che bisogna concentrarci. Tutto è concatenato, ogni tema si collega ad un altro tema. C’è un filo che unisce tutti questi passaggi ed è da lì che transitano le nostre scelte… e siccome noi siamo il frutto delle nostre scelte, forse vale la pena di parlarne. Non sono certo un esperto o un tuttologo, sicuramente sono più bravo a sollevare interrogativi che a trovare risposte, e comunque è già qualcosa.

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Storia di un abbraccio

Cosa racconto a cinquecento studenti colpiti a tradimento dalla vita? Come spezzo questo silenzio terribile? Che argomenti posso utilizzare per creare un filo tra loro e la vita che comunque va avanti?

Le parole non restituiscono vite, le parole del “dopo” mi ricordano i fiori appassiti. E comunque qualcosa bisogna pur dire, perché il silenzio di questa platea immobile, di secondo in secondo è diventato insostenibile.

Sono le 9,30 di lunedì mattina, il piazzale antistante l’Istituto d’Istruzione Superiore “Bettino Padovano” di Senigallia si riempie lentamente di ragazzi, alcuni zoppicano perché non è stato semplice uscire indenni da quell’inferno. Restiamo all’aperto perché l’aula magna non era sufficientemente capiente ma Anna Maria Nicolosi, la Preside, vuole che siano tutti presenti. Ha ragione.

Ora il piazzale è stracolmo. Sono tutti in attesa di un qualcosa anche se nessuno, compreso me, ha idea di cosa significhi “qualcosa” in una giornata del genere.

Mi trovo lì perché la Professoressa Patrizia Marasco, amica da una vita, domenica mi aveva chiesto a nome dell’Istituto di intervenire, di trovare parole sensate per affrontare questo lunedì surreale.
Arriva il momento, la Preside mi passa il microfono, guardo ciò che ho di fronte e scopro che sono cinquecento figli che hanno bisogno di noi.

In prima fila ci sono delle ragazzine che piangono composte, poi scopro che anche nella seconda fila c’è chi sta piangendo, allungo lo sguardo e vedo che lacrime e occhi gonfi sono il comune denominatore di questa platea muta.
Se già riuscissi a non piangere sarebbe un buon risultato, questo è l’ultimo pensiero che mi attraversa la mente, prima di aprire bocca.

Nella mezz’ora seguente dico molte cose a queste creature fragili e speciali.
Spiego che quanto è accaduto è per colpa mia perché conoscevo quel luogo. Mia figlia troppe volte mi aveva parlato del sovraffollamento e di quanto fosse difficile persino ballare.
Colpa mia, perché non ho denunciato la cosa, affidandomi alla penosa teoria dello sguardo basso.

Colpa mia, perché sono rimasto aggrappato ad una falsa certezza da quattro soldi, quella del “tanto non capiterà nulla”. Colpa mia se non sono mai riuscito ad evitare che Marta frequentasse un posto del genere, rimanendo travolto da quel famoso “ci vanno tutti”.

Ho delle colpe. E’ innegabile e oggi voglio pensare esclusivamente alle mie. Che sia la magistratura a fare tutto il resto. E allora, se cambiamento deve essere, voglio fare in modo che parta da me. Non esistono strade alternative o scorciatoie per ipotizzare un cambiamento.
Noi siamo stazione di partenza e capolinea di questo processo mentale.

Continuo a parlare girando alla larga dal facile pietismo e dalla retorica. Esorto i ragazzi a non prendere in considerazione chi si rivolge a loro utilizzando come incipit “ai miei tempi era tutto diverso”. “Ai miei tempi” è la negazione del presente, è un presupposto statico e nostalgico che non porta da nessuna parte.

E’ adesso che dobbiamo capire come contrastare il sexting o il cyberbullismo, è adesso che dobbiamo capire come far comprendere ai ragazzi che le droghe sintetiche sono più maledette dell’inferno. E’ adesso che dobbiamo convertire questa tragedia immane in un processo di crescita.

Mi rendo conto che le parole arrivano, non sono vuote, lo leggo negli occhi lucidi e smarriti dei ragazzi, e questo “qualcosa” che andava detto, alla fine ha preso forma. Miracolo della comunicazione generata dalla empatia.

Chiudo senza aver versato una lacrima, il microfono scivola tra le mani della Professoressa Silvia Di Nicolantonio, ha l’aria dolce Silvia e quando inizia a parlare succede quello che deve succedere. Piange Silvia, piange e racconta che sua figlia Sara, 15 anni e secondo anno di Liceo Scientifico, l’altra sera era a “La Lanterna Azzurra”.

Sara era scivolata nell’inferno, sepolta tra quei corpi ammassati uno sull’altro, quando delle mani l’hanno tirata fuori. Quell’angelo custode l’ha salvata. Sotto la morte e sopra la vita, nessun compromesso. E piange ancora di più Silvia, quando dice che quell’angelo si chiama Filippo ed è tra i cinquecento ragazzi che la stanno ascoltando.

Adesso possiamo finalmente piangere tutti ed è un qualcosa di liberatorio, un’esplosione di emozione collettiva che sembra non finire mai. C’è poi il loro abbraccio. Lungo, intimo, silenzioso. Mi sposto In punta di piedi e scatto la foto.
La nostra speranza riparte da lì.

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Golden Media Marche. Un premio che mi riempie di orgoglio!

Sabato due dicembre, presso lo splendido Politeama di Tolentino mi è stato consegnato il premio Golden Media Marche. Un evento organizzato annualmente dal Centro Studi Marche “Giuseppe Giunchi” di Roma con il patrocinio del Comune di Tolentino, della Comunità Montana Monti Azzurri e dell’Associazione Le Marche nel Mondo, dedicato alle eccellenze marchigiane nel campo artistico e in quello della comunicazione.

Una grande soddisfazione, bello sapere che il prestigioso comitato del Centro Studi Marche mi abbia preso in considerazione. Certe gratificazioni ti rigenerano e ti fanno ripartire con ancora più forza ed entusiasmo!!!

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“Generazione 6.5” – il terremoto visto attraverso gli occhi di Alessandra, 25 anni, di Visso. Una storia di paura e coraggio, di resilienza e di voglia di tornare a sognare

“Generazione 6.5” è un formato giornalistico teatrale che non parla di terremoto ma di persone. Racconta il percorso di Alessandra che in 120 secondi ha perso tutto ciò che possedeva… una casa, un paese, una comunità. Alessandra è ripartita. Con fatica ma è ripartita aiutando in primis il suo paese, combattendo incubi e burocrazia. Utilizzando il web per fare squadra, per dimostrare che le potenzialità positive della rete sono illimitate. Una storia di speranza e di ottimismo che aiuta a riflettere su molti aspetti delle nostre vite.

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La “mia legalità” raccontata agli studenti delle Marche e al Presidente Grasso

Parlare di legalità di fronte al Presidente del Senato Pietro Grasso e quasi mille studenti non è stato emozionante. È stato terapeutico. Esiste una parte del paese che ancora immagina che le cose possano cambiare, nonostante tutto, mi viene da aggiungere. E notare questo aiuta ad andare avanti, a procedere nel cammino.
Come ho detto all’interno dell’Aula Magna dell’Università Politecnica delle Marche, la parola legalità ha perso valore, è stata stuprata da troppi colletti bianchi con auto blu che l’hanno usata a sproposito.
La parola legalità andrebbe rigenerata e protetta come certi fiori rari che rischiano l’estinzione. Questo si può fare in tante maniere, ad esempio applicando la certezza della pena nei confronti dei tanti che mentre parlano di etica e legalità, rubano denaro pubblico e delinquono indisturbati.
Il ladro in giacca e cravatta che si finge paladino di giustizia e portatore di etica è tra le cose più repellenti partorite dalla nostra società.

Luca Pagliari e Pietro Grasso

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Guarda il servizio del TG3 Marche sul mio incontro con gli studenti di Macerata

Link al servizio del TG3 sullo spettacolo “Carta d’Imbarco” a Macerata

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